ATTIVITA' PRODUTTIVE
La povertà di frutti della terra canturina e la laboriosità delle popolazioni locali sono sempre stati due stimoli alla ricerca di attività proficue.
Dell’artigianato del ferro si hanno documentazioni già dall’anno 1000 e la produzione di chiodi fatti a mano venne cessata solo nel secolo scorso quando fu soppiantata dalla produzione a macchina. La lavorazione dei metalli è, comunque, proseguita negli anni ed è tornata in auge nei decenni ultimi con una pregevole produzione che spazia dall’oggetto d’arte al mobilio metallico per l’arredamento.
Un’altra caratteristica produzione canturina è quella legata al merletto. Introdotto verso il 1600 dalle monache benedettine era, nei secoli scorsi, considerata un’attività complementare a quella agricola. Il pizzo di Cantù è tuttora apprezzatissimo per i raffinati disegni e la scrupolosa esecuzione.
Ma la più solida delle tradizioni di Cantù è quella legata alla produzione del mobile di pregio che si è sviluppata indirizzandosi verso lo studio e la realizzazione di arredamenti completi, di qualsiasi tipo e stile. Il patrimonio di competenze di una produzione personalizzata fa del canturino un’isola tipicamente artigiana di alta qualità unica in Italia e, forse, nel mondo.
Il PIZZO DI CANTU'
Secondo Elisa Ricci, l’arte di tessere i merletti a imitazione della trina di Milano venne divulgata a Cantù, nel secolo XVII, dalle monache di santa Maria o di S. Ambrogio che probabilmente insegnarono alle converse del posto come si manovrano i fuselli sul tombolo. Più tardi, questa industria, come la chiamava nel 1774 il marchese Odescalchi, fu di un certo sollievo anche ai poverelli dei paesi vicini. La raccolta comunque e la vendita dei merletti furono ben presto monopolizzate da pochi mercanti, pizzicagnoli o merciai, che anticipavano il refe e gli altri arnesi dell’arte; e quindi ricompensavano le donne, non in denaro, ma con generi di prima necessità come aghi, commestibili o tessuti.
I merletti si esportavano nel Piemonte o nel Bergamasco. Secondo una fonte non sempre attendibile, nei primissimi anni dell’Ottocento, c’erano a Cantù forse settecento donne che facevano pizzi di ogni altezza e misura. Ancora nel secolo scorso le figlie dei contadini imparavano per tempo a manovrare i fuselli. A quattro anni, infatti, erano già a scuola di tombolo da una maestra pagata stabilmente dai genitori a un tanto al mese.
Nel 1850, con l’avvento della moda dei veli, degli scialli e di altri particolari di abbigliamento, il merletto si sviluppò notevolmente, tanto da indurre le canturine a lavorare in modo fervente a questa attività. Vista che questa attività si dimostrò, per le canturine, molto remunerativa e meno faticosa del lavoro in campagna, si creò un vero e proprio mercato regolato dall’insorgere dei primi commercianti.
Nacquero così anche le prime scuole, le prime apparizioni alle mostre, dove il lavoro canturino ebbe vari riconoscimenti, anche a livello europeo e d’oltre oceano.
Verso il 1950 il mercato non ebbe più una grande richiesta ma il pizzo rimase nella cultura canturina: le merlettaie continuarono ad eseguire pizzi per la propria casa e le giovani per la propria dote.
Negli ultimi anni si assiste, però, ad una ripresa di interesse, sia commerciale che culturale e storico, per il merletto di Cantù. In tale contesto sono ripresi corsi, professionali e non, per l’insegnamento dell’arte dei fuselli e si è dato corso a manifestazioni varie, anche di carattere internazionale La Biennale del merletto, finalizzate alla giusta valorizzazione della storica produzione.
LA PRODUZIONE DI MOBILI
“Le arti e i mestieri principali tanto del popolo di umile condizione, che abita in canturio, quanto dei contadini nella stagione invernale sono, per gli uomini, di lavorare il ferro facendo brocchette e, per le donne, tessere i merletti, questi sono i mestieri, che rimontano pel nostro borgo ad un oscura antichità “.
Così si esprime Carlo Annoni sulle attività produttive di più antico insediamento a Cantù. A partire invece dalla metà del secolo XIX si assiste in Cantù al fiorire della produzione artigianale del mobile. Da lavoro complementare e integrativo di quello agricolo, questa attività acquisterà nel tempo una preminenza: una sorta di grande impresa diffusa in tutto il territorio in una miriade di piccole botteghe artigianali. Gran parte della storia urbana di Cantù si è sviluppata attorno all’artigianato mobiliero, attività che ha permesso non solo la crescita economica ma che anche ha definito la vita e l’ambiente cittadino nei suoi aspetti sociali e culturali.
L’istituzione della scuola d’Arte nel 1882, del primo Consorzio Espositivo nel 1893 e la partecipazione alle varie Esposizioni Internazionali saranno i fattori di valorizzazione, di sviluppo e di emancipazione di un artigianato mobiliero che offrirà nelle pregevoli qualità esecutive ed estetiche dei suoi prodotti le prerogative migliori. Un dato peculiare della produzione canturina è di non essersi mai specializzata in un’unica tipologia di prodotto e in un unico stile, ma di aver realizzato manufatti rispondenti di volta in volta alle diverse tendenze stilistiche e progettuali, offrendo risposte qualificate ai problemi costruttivi nei termini di soluzioni tecniche appropriate e di qualità esecutive ragguardevoli.
LA PRODUZIONE DI CHIODI
Nel 1773 c’erano nella pieve 23 officine che davano pane a 120 operai. Trent’anni dopo se ne contavano 24 con 200 chiodaroli che trasformavano il ferro bergamasco in stacchette. Le mercedi dei ferraioli erano comunque bassissime. E al solito, il guadagno degli stessi proprietari di un’officina era ben poca cosa in confronto al profitto di quei mercanti che anticipavano la materia prima e rivendevano quindi il prodotto finito nel Canton Ticino, in Piemonte e forse nel Lazio e in Toscana.
I chiodi e i merletti non arricchirono di certo le contadine, che d’inverno passavano le giornate al tombolo, o i contadini, che s’improvvisavano operai nella stagione morta, ma resero comode e ricche quelle famiglie di merciaiuoli. I bambini lavoravano nella più tenera età a far chiodi minuti. E per l’improporzione della fatica, crescevano deformi e non campavano a lungo perché i chiodaroli morivano per lo più di tisi.
( Brano tratto dall’Annoni )